E rieccoci qui.
Ci scusiamo per la lunga assenza, e siamo toccati, felici e ancor più commossi nel vedere con quanta attesa addirittura qualcuno attendeva i nostri articoli, e si angustiava temendo una nostra defezione.
Ma bando alle ciance, ché a poche lacrime e molti sospiri di sollievo noi preferiamo da voi, sempre, l’inverso, e dunque veniamo a cominciare.
Uno dei diversi motivi che ci ha temporaneamente trattenuto è stato che sul Natale di Roma da cose da scrivere ce ne sarebbero eccome… e proprio tante… purtroppo però, rispetto all'anno passato, la sostanza non è cambiata di molto.
Vedremo comunque, in ogni caso, di non scontentare nessuno, o meglio, come è nostro oramai radicato costume, di scontentare tutti.
Per quanto il nostro spirito critico, acido sempre e comunque, se ne dolga, il primo ricordo che ci sovviene è senza dubbio positivo: il rito d’apertura dei festeggiamenti che è stato eseguito a Piazza del Campidoglio Sabato è stato, almeno all’abbrivio, suggestivo e ben fatto.
Tra vestali, consoli, matrone, turibolari e avvenenti danzatrici rumene, il risultato finale era senza dubbio affascinante, ed idealmente hanno trovato collocazione anche il paio di sepolcri imbiancati in giacca e cravatta che, per esigenze immaginiamo formali, hanno presieduto all’inaugurazione.
Ci verrebbe da dire allora “Bravo, Gruppo Storico Urbense!”, ma come era solito dire van der Rohe, “Il Diavolo si nasconde nei dettagli”, e nel caso specifico c’erano tutti e tre i Gironi, le Dieci Bolge e pure l’ultimo Cerchio con tanto di Belzebù tricipite con Giuda nel gargarozzo.
Perché accanto a matrone e senatori che, diamo a Cesare quel che è di Cesare, indossavano delle mièse decisamente appropriate, per tutto il tempo ha ciondolato un centurione inscatolato dentro un improbabile pettorale e con in testa l’onnipresente elmo con cimiero di boa di piume di struzzo fucsia, che forse proprio per la maggiore sobrietà e rigore delle altre comparse risultava ancor di più un diretto nell’occhio che neanche Primo Carnera.
Ma in fondo, a ben guardare, si trattava solo del consono preludio a ciò che si sarebbe manifestato il giorno seguente…
Perché -Mehercule!- dall’anno passato purtroppo è cambiato assai poco, se non l’affluenza del pubblico che, purtroppo o per fortuna, è stata decisamente inferiore.
Se l’intento è quello di scardinare il trito luogo comune che vorrebbe i legionari romani dei grigi e tetri shultzstaffeln fatti tutti con lo stampino però, senza dubbio la strada è quella giusta, per quanto non ortodossa.
La mattina di Domenica infatti il Circo Massimo era gremito da legioni tra le più colorate, appariscenti e gioiose che si possa immaginare: un infinita schiera di Centurioni che ondeggiavano stancamente sotto il sole carichi di payettes, gravati sotto al peso di un pastiche di ferro, ghisa, cuoio, plasticaccia e peluches scuoiati, coronati da scopettoni multicolori che parevano ananassi incrociati con piumini per la polvere.
Certo che se è vero, come dicono, che la meticolosa Kassandra Kirghisi si è messa a curare il Gruppo Storico Urbense, le perplessità crescono.
O Nostra Madonna della Rievocazione, come sprezzantemente i suoi detrattori la canzonano, ha perso lo smalto (e 10 decimi buoni ad entrambi gli occhietti), oppure per rimanere fedeli alla loro colorita interpretazione del tempo che fu gli Urbensi debbono averla di già imbavagliata e segregata nel Tullianum a tener compagnia al fantasma di Vercingetorge.
Attenta, attenta signora Kirghisi, che il bieco tribuno Jerusalem, la Legio Rodigina e i loro compari della Coop Esattoriale Rivisitazioni&Sagre ogni volta che possono coglierti in fallo gongolano… eccome se gongolano!
Giust’appunto tra gli innumerevoli partecipanti l’assenza continuata della Legio Rodigina perplime… e si che dall’accostamento con una realtà si gaia e variopinta ne avrebbero solo da guadagnare, almeno in autostima… non va però sottovalutato il terrore di stampo veterosovietico, pienamente giustificato, di poter perdere gli ennesimi pezzi per strada, che cogliendo l’occasione propizia per sfuggire alla Cortina di Polenta avrebbero potuto fondare ulteriori innumerevoli vessillazioni autonome e riottose nel percorso tra il Polesine e la Città Eterna e ritorno.
In quest’anno all’insegna della distensione comunque, ha trovato un suo spazio addirittura Civiltà Quirite, sempre meno legione e sempre più bellicoso gineceo germanosarmatico, che con l’aggiunta tra le sue fila per mezzo di “Foedus” di uno sparuto ensamble di celtovichinghi, più che le quadrate coorti romane ricorda sempre più da vicino l’Armata Brancaleone.
Sogghignate tra la orde improbabili di comparse da peplum, molti hanno visto stagliarsi Pilatus con i suoi repubblicani, a onor del vero discreti… certo, l’abitudine di rapire intere scolaresche per farne dei Velites forse toglie un po’ di marzialità alla cosa, rispolverando memorie da gita scolastica, ma visto il panorama generale, possiamo anche chiudere un occhio, in attesa che la prossima campagna militare invece che contro i Galli sia contro una torma di genitori indispettiti, assai più feroci.
Immancabile, in panoplia da retiarius ed iperuranico splendore, vi era ovviamente anche il Dario Nazionale, scortato da pochi, e se non buoni, sicuramente nerboruti gladiatori, che con quasi cristiana compassione e condiscendenza osservavano i loro “colleghi” della città eterna esibirsi in improbabili evoluzioni con un realismo paragonabile a quello dei romanzi onirici di Lord Dunsany.
Perché, ci domandiamo e chiediamo, avendo a disposizione i gladiatori del Nostro, il Gruppo Storico Urbense ha preferito propinare al pubblico gli spettacoli di chi, senza dubbio in buona fede, come massima espressione arriva ai combattimenti di “Ursus terrore dei Cosacchi”?
D’altra parte i gladiatori del Dario Nazionale non sembrano essersela presa… dipende tutto con che spirito si fanno determinate cose, e ci immaginiamo il Nostro che, con un sorriso tenero e bonario, il giorno addietro avrà arringato i suoi sussurrando dolce e paterno “poiché siete stati bravi, ed il numero di costole che vi siete reciprocamente infranti questo mese è ottimale, vi porto a Roma a vedere i pagliacci! Contenti?
Epilogo scontato, dopo la marcia attraverso le vie della capitale, la solita battaglia che, in barba alla coerenza storica (ma sciocchi noi a volerne trovare una, visti i precedenti), ha visto le schiere imperiali del Gruppo Storico Urbense affrontare i Galli, per la precisione i Ling-Two di Re Facocero e la Teuta del Cinghiale al Lambrusco dello sgargiante Fante di Coppe, i quali, dopo una zuffa disordinata, hanno regalato un finale che se voleva ispirarsi forse al Galata Suicida più che altro ha riportato alla mente gli ultimi minuti di Brian di Nazareth.
D’altra parte i gruppi di rievocazione o supposti tali celtici sono sempre alla ricerca di nuove palestre e palcoscenici, e se Ling-Two e Teuta del Cinghiale al Lambrusco si sono dati al ruolo della comparsa teatrale in quel della Città Eterna, forse per adeguarsi all’ambiente, voci non confermate narrano della Tribù della Collinetta e del Fiumicello che, sempre alla ricerca di riconferme della propria serietà nell’analizzare contesti consoni dove manifestarsi, in questi giorni ha presenziato ad una mostra cinofila, continuando la corsa a rotta di collo cominciata il tempo che fu con il CapoDanno Celtico e proseguita con la Battaglia del Ticino tra arcieri normanni e ribelli madhisti.
"O tempora! O mores!"... che se è vera l’obiezione che ci è stata mossa, che a volte nei nostri scritti, ci ripetiamo, ora, amici e meno amici, non sarà forse perché, purtroppo, vi ripetete un po’, nel peggio, anche voi?
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